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«Chiedo di andare a morire al suo posto»
Una notizia terribile, agghiacciante arriva nel blocco 14, al quale apparteneva anche san Massimiliano Kolbe: è fuggito uno dei prigionieri del blocco 14. Se il prigioniero non tornerà, il giorno seguente sicuramente dieci prigionieri del blocco 14 verranno scelti e condannati a una morte atroce: la morte di fame e sete in un orrido e tenebroso sotterraneo, chiamato “bunker della morte”.
Le ore passano lente come secoli sotto un sole di piena estate che di ora, in ora si fa più spietato per quegli uomini distrutti dalla fame, dalla sete e dalla fatica. Qualcuno comincia a stramazzare al suolo svenuto. Se non si rianima sotto il grandinare delle percosse, è trascinato via, per i piedi e gettato in un angolo del "piazzale".
Testa di mastino, alle 18, si pianta, a gambe divaricate, davanti alle sue vittime, sul campo un silenzio di tomba.
"L'evaso non è stato ritrovato dieci di voi moriranno nel bunker della fame. La prossima volta toccherà a venti."
Lentamente il capo inizia la sua scelta fissando nello sguardo, uno ad uno i prigionieri e di ciascuno assaporando il terrore.
"Questo qui", Testa di mastino puntava a caso il suo indice sul numero cucito sulla giacca del prigioniero. Il drappello dei martiri è completo.
La seguente testimonianza è quella di colui che è stato salvato dalla morte, Francesco Gajowniczek, il quale così descrive quello che lui ha potuto vedere e sentire:
«Eravamo allineati in dieci file, durante l’appello della sera. Mi trovavo nella stessa fila di Padre Kolbe; ci separavano tre o quattro prigionieri.
Il Lagerführer Fritsch, circondato dalle guardie, si avvicinò, e cominciò a scegliere nelle file dieci prigionieri per mandarli a morire. Indicò col dito anche me. Uscii dalla fila e mi sfuggì un grido: avrei desiderato vedere ancora i miei figli! Dopo un istante uscì dalla fila un prigioniero, offrendo se stesso in mia vece. Si avvicinò, perciò, al Lagerführer e cominciò a dirgli qualcosa. Allora una guardia lo condusse nel gruppo dei condannati a morte; io ebbi l’ordine di rientrare nella fila».
Un altro testimone presente alla drammatica scena fu il medico Niceto Francesco Wlodarski, che si trovava lì presente.
Francesco G. n° 5659, piange disperato ricordando la moglie e i figli. Tra le file dei risparmiati lo sbigottimento lascia il posto ad un senso di sollievo, alla gioia: vivere ancora, sfuggendo alla morte atroce del bunker della fame. Un uomo esce dalle fila -
"Cosa vuole da me questo sporco polacco?"
"Vorrei morire al posto di uno di quelli"
"Perché?"
"Sono vecchio, ormai (aveva 47 anni!) e buono a nulla -
Il colonnello Fritsch, meravigliato, sembrava non riuscisse a trovare la forza per parlare. Dopo un po’, però, con un cenno della mano, pronunciando la sola parola: “Fuori!”, ordinò a Gajowniczek di ritornare nella fila lasciata prima. In tal modo, Padre Massimiliano prese il posto del condannato...».
San Massimiliano, non aveva doveri particolari verso l’incolumità fisica di nessuno in quel lager. Aveva invece un dovere generale, in quanto sacerdote, di provvedere alla salute della loro anima. Ma proprio per questo, a vedute umane, sarebbe stato più utile da vivo che da morto, per tutte le assoluzioni in articulo mortis che avrebbe potuto impartire, per tutte le parole di fede che avrebbe potuto rivolgere a quella gente esulcerata dalla ferocia belluina degli aguzzini.
Si potrebbe invocare il principio secondo cui «senza la divina autorità non è lecito a nessuno uccidersi direttamente con l’intenzione di uccidersi. Sarebbe contro la carità verso se stessi, e sarebbe un’ingiuria al bene comune e a Dio, che è il solo diretto e assoluto Signore della vita umana» (ivi, p. 622).
E’ stato l’impulso della carità divina a spingere padre Massimiliano a compiere quel gesto, in ossequio al suo carattere sacerdotale, alla sua appartenenza all’Ordine dell’amore serafico e alla corona rossa promessagli dalla Madonna sin dalla sua infanzia.
In verità, san Massimiliano non si è ucciso, né si è consegnato con l’intenzione di uccidersi. L’hanno ucciso i nazisti che odiavano la fede cattolica; l’oggetto immediato della sua offerta era di salvare la vita di un fratello, ma la sua intenzione più vera era di conformarsi nel modo più perfetto a Cristo, che si è sacrificato per amore dell’intera umanità. [...] La morte è semplicemente tollerata come effetto secondo, previsto, accettato, ma non voluto per sé. [...]
La difficoltà di individuare distintamente nel sacrificio di san Massimiliano i tratti essenziali del martirio era avvertita anche dal postulatore della sua causa di beatificazione. Tant’è vero che è stato beatificato da Paolo VI con il titolo di Confessore, mentre è stato canonizzato dal beato Giovanni Paolo II col titolo di Martire della Carità. La differenza tra il martirio per la fede e il martirio per la carità sta, nella necessità del primo, e nella libertà del secondo, secondo i due modi di esser principio dell’intelletto e della volontà: necessario il primo, libero il secondo.
Nel martirio di san Massimiliano, va aggiunto il “fattore Immacolata”, per il quale l’«accettazione volontaria della morte» si trasforma nell’“offrirsi spontaneamente alla morte”, perché in questo consiste “l’amore più grande” (Gv 15,13), l’amore dell’Ordine serafico.
Era Massimiliano Maria Kolbe, morto ad Auschwitz il 14 agosto 1941 e proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II.
Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświęcim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti. Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista.
Oggi, si celebra il "Giorno della memoria", in ricordo di tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei, e in onore di quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida. Con animo commosso pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani.
La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia. Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!
Papa Benedetto XVI, Udienza Generale -
Mercoledì, 27 gennaio 2010