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Sono tre giorni che siamo arrivati qui.
Credo che ci vorrà del tempo prima che mi abitui a tutto questo.
A questi fili spinati, a questi posti di guardia, a queste teste coperte da caschi, a questo lavoro assurdo, e soprattutto a questa promiscuità.
Mio Dio, sono passati soltanto tre giorni. E se ciò dovesse durare dei mesi, forse degli anni...
Ho perso perfino il mio nome.
Ieri sera, al centro di raccolta, "essi" mi hanno chiamato col mio numero. Sono il 5432.
Mai avevo saputo nella realtà cosa volesse dire essere un prigioniero. Mi sembrava talmente naturale la libertà...
Mi sento d'un tratto vicino ai figli della tua Chiesa, a tutti coloro che i Cartaginesi o i romani mandavano nelle miniere o nelle galere.
Signore, sono un po' come loro.
Meno luminoso, perché, se soffriamo, essi lo facevano per te. Io sono altra cosa.
Io sono qui perché lo hanno voluto le circostanze. Perché bisognava che qualcuno venisse qui, perché il mio nome figurava su qualche lista.
Tutto è anonimo, in questa avventura. Tutto.
Ignoro il nome del burocrate tedesco che ha firmato la mia requisizione; ignoro la ragione per cui "essi" mi hanno messo qui piuttosto che altrove.
E ignoro pure come tutto ciò andrà a finire.
Signore, è proprio questo anonimato che è vergognoso. Da ieri ad oggi sono diventato un oggetto.
Un oggetto soltanto un po' più importante di una scopa.
Uno strumento di cui "essi" hanno bisogno per far andare avanti una macchina; giacché "essi" non possono ancora fare a meno di uomini che le facciano andare, le loro macchine.
Il 5432 è addetto alla macchina 28.
Signore, tu lo sai, ho paura di molte cose.
Ma ho soprattutto paura di finire coll'abituarmi, col perdervi il mio nome, col perdervi la mia anima.
Paura di maledire la mia patria vinta e il "loro" paese vincitore.
Paura di vendicarmi, più tardi, quando "essi" avranno perduto.
Signore, perdonami: questa sera non posso onestamente recitare il Padre Nostro.
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una foto rara:
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