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Nulla vi fu di più commovente nella Casa Nazarena
che la morte di Giuseppe.
Di tale morte tanto s’immaginò e si scrisse,
tuttavia nessuno seppe,
né saprà mai parlarne convenientemente.
La fantasia o l’ingegno umano
non seppero mai descrivere o comprendere a pieno
la scena di un povero fabbro morente,
assistito da Dio e dalla Madre di Dio.
Le parole di Giuseppe s’incontrano con quelle di Gesù,
i suoi aneliti con quelli del Figlio,
i suoi occhi con gli occhi di Cristo.
Gesù ha compiuto i doveri di figlio in vita
e vuole compierli anche nella morte del suo Padre verginale,
poiché ben conosceva il precetto dell’Ecclesiastico:
“Figliolo, soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non lo contristare durante la tua vita.
Se anche gli viene meno la mente,
abbine compassione
e non disonorarlo nel tempo del tuo vigore”
(Eccl. 3,12-
Giuseppe era affaticato e debole di forze,
e Gesù era il suo sostegno.
Giuseppe aveva consumato la sua vita
per sostentare la santa Casa,
ora Gesù gli porge il braccio per sorreggerlo,
il petto per stringerlo,
il volto per farvelo riposare.
Giuseppe sta per morire
e Gesù gli apre il suo Cuore divino
per accogliere la sua anima santissima.
Quale profumo di carità!
Quale atmosfera colma d’effluvi celesti
regna nella Casa di Nazareth!
Quale spettacolo ammirabile,
degno della più dolce contemplazione,
quello di Maria accanto al letto di Giuseppe,
mentre diffonde nella stanzetta
la più soave carità e il profumo d’ogni virtù!
Vera rosa di Gerico, con la sua fragranza
ricrea lo spirito dello Sposo
nelle sue ultime ore di vita.
Se l’amore di Maria per Giuseppe fu grande in vita,
ancor più grande è in morte.
Bella è la morte d’alcuni santi,
alla quale assistevano gli Angeli in forma sensibile;
ancor più bella è la morte di Giuseppe
cui assiste la Regina degli Angeli!
Felici i moribondi assistiti da San Camillo de Lellis,
al quale gli Spiriti celesti ispiravano parole di conforto;
ancor più felice Giuseppe,
cui la stessa Imperatrice dell’Universo
rivolge parole di conforto!
In tali momenti supremi,
l’amore di Maria, cresciuto sempre più nei tanti anni
vissuti accanto alla fornace divina del Figlio,
tutto si riversa su Giuseppe,
che resta assorbito come in un mare di fuoco
e pervaso da un incendio di carità.
Quale pazienza nella Vergine
nell’accettare l’infermità del suo Sposo!
Quale umiltà nel servirlo nei più umili bisogni!
Quale modestia nel curarlo!
Quale sollecitudine nell’assecondarne i desideri!
Quale grazia nel suggerirgli pensieri di Cielo
e di conformità ai divini voleri!
Quale affetto nell’ascoltare le sue ultime parole!
Quale tenerezza nell’accogliere il suo ultimo respiro!
Quale rassegnazione nel sopportare il distacco!
Quale fortezza nel subirne la perdita!
Lasciare Nazareth per andare al Limbo;
abbandonare la sua Casa, vero Paradiso,
per discendere nel seno d’Abramo, carcere d’attesa;
rinunciare alla vista di Gesù, suo Salvatore e suo Dio,
per sostituirvi quella dei Padri,
poveri prigionieri da secoli;
separarsi dal viso di Maria,
privarsi della sua voce,
della sua conversazione,
per quelle delle anime dell’Antica Alleanza;
morire al Cielo per vivere alla Terra;
cambiare in desiderio e attesa la presenza del Salvatore:
ecco tratteggiata in poche righe la morte di Giuseppe.
Morte amarissima, nella sua soavità.
Distacco violentissimo, separazione straziante.
Gesù, Maria, Nazareth, sono così impressi
nel cuore di Giuseppe che disgiungerlo da loro
è come separarlo da se stesso.
I volti di Maria e di Gesù,
i loro occhi, le loro parole, i loro gesti,
la loro vicinanza, la loro presenza
hanno avuto un tale effetto sull’anima
e sullo spirito di Giuseppe,
che egli ne è imbevuto, immedesimato.
Dividerlo, dunque, da quella carissima coppia
è come ucciderlo con il più crudele martirio.
Le pene dei martiri paiono minori
di fronte alla separazione di Giuseppe.
Eppure così è decretato.
E Giuseppe reputa un nulla il suo dolorosissimo distacco,
purché sia compiuto il Volere supremo.
Mi pare più grande Giuseppe
quando spira rassegnato fra le braccia di Cristo,
che quando mette l’anello di Sposa a Maria,
o di quando è eletto Padre verginale del Salvatore.
Ci stringiamo intorno al tuo lettuccio,
o Patriarca S. Giuseppe,
quali figli che fanno corona al padre
negli ultimi istanti della sua vita.
Uniti in spirito a Gesù e a Maria,
noi assistiamo al tuo preziosissimo Transito.
La tua, o Giuseppe, fu veramente la morte del giusto:
la serenità impressa sul tuo volto;
la rassegnazione della tua volontà a quella divina;
l’abbraccio di Maria;
la benedizione di Gesù;
ogni tua virtù che, quale gemma splendente,
intreccia per te una magnifica corona;
tutto ciò rende la tua morte unica e ammirevole.
O caro santo, nell’ora della nostra morte
facci assaporare un po’ di quella dolcezza
che accompagnò il tuo Transito:
vieni con Maria e Gesù,
affinché noi, che abbiamo scelto di abitare
per tutta la nostra vita nella Casa Nazarena
in compagnia della Sacra Famiglia,
possiamo spirare fra le vostre braccia.
Così sia.
Meditazione tratta dagli scritti del Can. don Paolo Bonaccia, Direttore dei Missionari della Sacra Famiglia di Spoleto (1838-