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"Cristianesimo e martirio vanno di pari passo, sì, ma il martire è tutt’altra cosa dal rivoluzionario. Cristo è morto da martire, non da ribelle.
C’era sì il ribelle, di nome Barabba. Per costui s’era adempiuto quanto Cristo aveva detto a Pilato: « Se fosse di questo mondo il mio regno, la mia gente avrebbe combattuto perché non fossi dato nelle mani dei giudei » (Gv 18,36).
Per Barabba si fecero barricate, i suoi seguaci richiesero a gran voce la sua liberazione; per Cristo non ci furono cortei di protesta, e nemmeno egli li volle.
In che cosa consiste allora la differenza tra un martire e un ribelle?
Essa si chiarisce se guardiamo al passo in cui, per la prima volta, un cristiano si definisce tale: la prima lettera di Pietro, al capitolo 4, versetto 15s.
L’apostolo Pietro dice qui ai cristiani: « Nessuno di voi abbia a soffrire perché omicida, o ladro, o malfattore, o intrigante; ma se egli soffre come cristiano, per il nome "cristiano", non abbia vergogna, anzi, renda gloria a Dio perché porta questo nome ».
Da questo testo risulta evidente che, per il cristiano, appartiene al nucleo della sua opzione di fede l’attenersi alla giustizia, anche e perfino in uno Stato in cui non gli sia riconosciuto alcun diritto. Anche in quel caso vale l’invito di Gesù: « Date a Cesare quel che è di Cesare » (Mt 22,21).
Per questo i cristiani, anche nelle epoche di persecuzione, hanno pregato per l’imperatore.
Già nel Nuovo Testamento, nella prima lettera a Timoteo (2,2), nel mezzo di un periodo di sanguinosa oppressione, i cristiani vengono invitati con vigore a pregare «per i re e per tutti quelli che sono costituiti in dignità ».
I cristiani si sono rifiutati di adorare l’imperatore, ma hanno spontaneamente pregato per lui e per la stabilità delle istituzioni.
Già nel II secolo, essi hanno rivendicato d’essere stati proprio loro, i « rei » e i «proscritti », secondo l’opinione dominante, a conservare uniti, mediante le loro vite e le loro preghiere, lo Stato e la società, preservandoli dalla rovina.
(Zeitfragen und christlicher Glaube, pp. 35s)