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Il totale disprezzo per la vita umana legittimava agli occhi dei medici nazisti non solo l’omicidio, ma anche gli esperimenti pseudoscientifici.
Il più noto dei medici dei lager, Josef Mengele, andava a scegliersi personalmente le sue vittime, preferibilmente gemelli, come Yitzhack e Zerah Taub, che finirono nel suo laboratorio.
“I miei porcellini d’India”, li chiamava con cinico sarcasmo il medico della morte, che si era proposto di eternarsi nei testi di medicina con una propria teoria sui gemelli.
Mengele misurava e comparava ogni particolare fisico dei gemelli, prelevando loro sangue ogni giorno, talvolta addirittura da entrambe le braccia contemporaneamente.
Yitzhack Taub ricorda che il salasso proseguiva “fino a quando i bambini si afflosciavano come sacchetti di plastica vuoti”.
Al servizio della sua “ricerca”, Mengele iniettava prodotti chimici negli occhi dei bambini per verificare se ci fosse modo di far diventare stabilmente azzurri gli occhi bruni. Altri li uccideva con iniezioni di fenolo, o di un altro prodotto, per poterne prelevare gli organi.
“A me hanno iniettato del veleno. Ancora oggi non so cosa fosse. Il risultato di quegli esperimenti è che sono per due terzi invalido. Ho il corpo che trema tutto. Sono colto da attacchi epilettici. Che vita!” sospira Moshe Offer, uno dei superstiti gemelli di Auschwitz.
Anche persone di piccola statura o donne incinte suscitavano l’interesse del medico delle SS. Ruth Elias era all’ottavo mese di gravidanza, quando fu deportata per la seconda volta ad Auschwitz. Mengele decise di non farla gassare, ma quando partorì il bimbo, il medico le fece bendare il petto perché non potesse allattarlo, e controllava quotidianamente che il neonato restasse effettivamente senza alimentazione. “Mio figlio si è spento lentamente”, racconta Ruth Elias, “alla fine piangeva soltanto, emetteva flebili lamenti”. Dopo otto giorni, quando il piccolo non dava quasi più segni di vita, una delle dottoresse detenute fornì alla donna, di nascosto, una dose di morfina. “Ho ucciso io stessa mio figlio”, confessa Ruth Elias, “e dopo averlo fatto non ho avuto che un desiderio: morire anch’io”.
Il nome di Josef Mengele resterà per sempre emblematico dei disumani esperimenti medici che si compivano ad Auschwitz.
(Questa documentazione è il testamento di milioni di vittime. Simon Wiesenthal)