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"In quell'atteggiamento molto diffuso di affrettata critica alla storia passata della cristianità torna sempre a imporsi l’idea che ci si dovrebbe sbarazzare dell’intera storia di questi duemila anni e radere così al suolo le mura dei dogmi e delle confessioni, per cominciare tutto da capo, come se Cristo comparisse per la prima volta oggi sulla soglia della nostra casa.
Per quanto ciò sia allettante, tuttavia, così facendo noi ridurremmo l’unità della Chiesa a un’opera, a un prodotto delle nostre mani, e la Chiesa a qualcosa che noi stessi possiamo costruire.
Ma di fronte a quest'opzione non c’è giustificazione che tenga: in fondo, in questa maniera eleviamo di nuovo una muraglia contro Dio e finiamo per confidare maggiormente solo in quanto è in nostro potere fare.
Il muro della legge e il muro che vuole circoscrivere lo spazio di azione di Dio non sono però stati rimossi dall’azione dell’uomo: questa semmai li ha alzati ancora di più.
Essi sono stati invece rasi al suolo da colui che ha recato al mondo l’amore di Dio e, sulla croce, si è caricato del carico di impotenza e di male di ogni azione umana.
Così dunque non va.
Quando parliamo di unità della Chiesa, dobbiamo subito smettere di sognare opere audaci e grandi realizzazioni, delle quali riterremmo d’esser capaci.
La lettera agli Efesini ci offre una diversa indicazione: ci esorta a lasciarci incorporare e riedificare nell'uomo nuovo, nella nuova umanità che Cristo ha inaugurato.
Come è stato notato, « l’unità non può essere creata dagli uomini, essi possono solo riconoscerla» .
La vera Chiesa non è opera nostra: ci precede ed è opera di Cristo.
Il nostro compito è quello di lasciarci incorporare a essa.
Quando lo adempiamo, lasciandoci sgrezzare umilmente dal Signore come pietre vive, quando smettiamo di « progettare a tavolino » la Chiesa, quando ci lasciamo condurre là dove non vogliamo, allora fiorisce l’unità e, anche in mezzo a divisioni, le mura diventano ostacoli superabili."
(Bollettino diocesano, 20 gennaio 1978)