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No
alla Bomba
«Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli
dietro.
Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi.
Questo è il destino dei profeti»
Papa Paolo VI
Il dubbio non è di oggi e non sono neanche il primo a pensarlo:
oggi, però, me lo trovo davanti con volto nient’ affatto accademico: oggi c’è
nell’angoscia in chi pensa col cuore. Lo so purtroppo che il finire della
storia difficilmente è regolato dai contemplatori: so pure che, nonostante il
costo crescente del progresso, la più stupida delle religioni, noi
continueremo su questa strada della speranza di pagare un giorno un po’ meno
le nostre comodità: ma so pure che comodità non vuol sempre dire vivere da
uomini.
E se esiste una intraducibilità, non è ragionevole che, dimenticando per un
attimo la lusinga dell’utile immediato, misuriamo la pericolosità del nostro
«vivere civile». Non c’è scoperta che non sia stata usata male e che il mal
uso di essa non sia pesantemente ricaduto sull’uomo. Mi dispenso dalla
documentazione. La colpa è dell’uomo che non vuole usarne bene. Sì, la colpa
è nostra: ma constatare un fatto non vuol dire spiegarlo. C’è da vedere come
mai non abbiamo saputo finora ovviare il grosso guaio di farci del male con
le nostre mani: se ne possediamo la capacità; se è giusto che per un breve
utile, limitato anch’esso a pochi, ci portiamo dietro, quasi fossimo dei
condannati, non la croce ma il capestro di questa civiltà.
Prima di rispondere conviene riproporre, in termini semplici e reali, il
problema dell’uomo e del suo destino. Il problema è grosso e le risposte sono
molte. Senza pretendere d’imporre la mia, immagino che nessuna creatura
ragionevole sia disposta ad accettare per sé e per i suoi una condizione
umana, in cui un breve quasi ebbro respiro venga fatalmente scontato da una
sorte paurosa, che scardina e inghiotte le cose nostre.
Che piacere può dare una casa a dieci piani, se la so destinata a rovinare
sotto un tappeto di bombe col rischio di rimanervi sepolto con la mia
famiglia? È da meno di una tenda o di un capanno di cocomeraio, ove, in
qualche modo, mi riparo dalle intemperie e posso stare al sicuro dalle
insidie degli uomini troppo intelligenti. Chi non farebbe volentieri senza
aeroplani? I modesti servizi che hanno reso e che potranno rendere non
compensano le rovine e i massacri che hanno causato. La prima bomba atomica
distrugge Hiroshima, avanti di garantire «la pace». D’accordo. Ma se non
riesco a guarirmi e queste scoperte provocano ed eccitano la mia
sonnecchiante malvagità, non sarebbe da savio rinunciarvi, fino a quando
almeno mi sentirò più padrone di me? Non è giusto che si spezzi una macchina
per il solo fatto che ci abbiamo cavato un guaio.
Rinnoviamo l’uomo. Questa sarebbe la vera soluzione: meglio, l’impegno da
prendere. Ma oggi, l’uomo ne ha le capacità? Ragionando concettualmente, non
ne dovrei dubitare: ma davanti ai fatti, mi faccio estremamente cauto.
Finora, e sono anni e anni, nonostante il molto predicare, abbiamo piuttosto
peggiorato. Due guerre di inaudita barbarie teorica, in un quarto di secolo,
e rivoluzioni altrettanto distruttrici, non bastano a farci persuasi che le autoblinde, i carri armati e adesso le bombe atomiche non
servono la libertà e l’indipendenza, ma le tirannie e le dittature? Gli
ordigni non ne hanno colpa, è vero: ma se ci mettono in tentazione di far
male, perché fabbricarli? Almeno, fino a quando saremo in condizione d’animo
di usarne senza nocumento. Come un tempo c’erano mostri naturali contro cui
l’uomo primitivo dovette lottare fino al loro sterminio, così vi sono oggi mostri
artificiali contro cui bisogna insorgere, non essendo capaci di domarli.
Si salveranno le invenzioni che riusciremo a rendere umane, come si sono
salvati gli animali che l’uomo ha saputo addomesticare. Meno potenti e un po’
più uomini. È duro riconoscere che siamo gente limitata e che abbiamo bisogno
di un limite anche al genio. Ma non si mortifica il genio: si ferma l’uomo
sulla linea dell’uomo. Quante rovine e asservimenti in terra d’uomo, col
pretesto di farci grandi! Vogliamo scuotere anche le catene di questa
disumana grandezza che ha bisogno di miracoli fatturati e di troppi schiavi.
Che ne faremo di questi mostruosi strumenti della nostra civiltà meccanica?
Li metteremo in un museo, accanto ai dinosauri antidiluviani: e quando saremo
veramente fratelli tra di noi, se ce ne resterà il gusto, li tireremo fuori.
(Don
Primo Mazzolari)
Fonte:
Avvenire 4 aprile 2009
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